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CONSIGLI DI LETTURA: Kim Ji-Young, nata nel 1982 - Cho Nam-Joo

Di Federica Ceccarelli


Cho Nam-Joo è laureata in sociologia alla Ehwa Women’s University di Seoul. Ha lavorato per anni come sceneggiatrice e si è poi dedicata alla scrittura di romanzi; Kim Ji-Young, nata nel 1982 è il suo terzo libro, pubblicato nel 2015 e subito divenuto un best-seller. Dal 2021 è disponibile in italiano, tradotto da Filippo Bernardini ed edito da La tartaruga.

Il libro racconta la storia di Kim Ji-Young, ordinaria donna coreana che in seguito ad un crollo nervoso ripercorre la propria vita davanti a uno psichiatra. L’esistenza della protagonista è in tutto e per tutto simile a quella di mille altre donne: cresce in una famiglia della classe media, studia, trova lavoro, si sposa e lascia la carriera per badare alla figlia. Questo percorso di crescita modesto e tutto sommato privo di grandi sconvolgimenti e cataclismi è in realtà disseminato di eventi che, in varia misura, segnano la psiche della donna e le fanno prendere consapevolezza della propria posizione di subalternità.


A livello letterario, non siamo davanti a un capolavoro (almeno nella traduzione italiana; purtroppo non ho gli strumenti per confrontarmi con l’originale), né a una prosa particolarmente brillante. La divisione tra donne e uomini appare particolarmente netta, a tratti quasi manichea. La conclusione stessa è esemplificativa del muro che talvolta troviamo quando cerchiamo di farci ascoltare, o addirittura aiutare, da un uomo. Come vedremo nelle prossime righe, il testo non dice nulla di particolarmente nuovo alla lettrice donna; le vicende narrate sono tutto sommato ordinarie e comuni, e pur facendoci arrabbiare non ci lasciano particolarmente stupite. Lo consiglio invece soprattutto al pubblico maschile, ancora poco avvezzo alle narrazioni femminili in prima persona.


Chiunque abbia un corpo femminile non faticherà a riconoscersi nei racconti di Kim Ji-Young: il maggiore carico di doveri domestici fin dall’infanzia, le molestie di uno sconosciuto in un autobus, gli sguardi e le battute (se non qualcosa di più) invadenti dei superiori al lavoro, le voci esterne sempre pronte a minimizzare o a darti la colpa quando qualcuno ti dà fastidio, le pressioni rispetto al tuo orologio biologico perennemente sospese sulla tua testa come una spada di Damocle. Il susseguirsi di queste vicende fa emergere la pressione e l’ingiustizia che metà della popolazione mondiale vive su base quotidiana. Si tratta di questioni di natura generale e legate al patriarcato come sistema egemonico universale, che Choo Nam-Joo contestualizza secondo la dimensione coreana.


Il punto di forza del libro è proprio la presentazione di problematiche di genere legate a contesti che conosciamo (la scuola, la città, il lavoro, la famiglia) applicate alla Corea del Sud, e dunque a una dimensione diversa da quella dei femminismi occidentali. Se vogliamo realmente iniziare a ragionare in termini di femminismo intersezionale e internazionale, è fondamentale prendere in considerazione i dati e le narrazioni provenienti da altri contesti, promuovendo l’interazione tra globalità e località. Il romanzo di Choo può aiutarci in questo anche perché fa continuo riferimento ad articoli, ricerche e statistiche che possiamo consultare come approfondimento. La citazione delle fonti fa sì che il racconto di Kim Ji-Young risulti sovrapponibile, almeno in parte, a quelli non scritti di tante altre donne coreane. Non a caso Kim Ji-Young è un personaggio anonimo, privo di identità; anche il suo nome è particolarmente comune e sulla copertina è riportata una figura femminile senza volto.


In breve: una porta di accesso sulla declinazione coreana del patriarcato e dei suoi effetti. Lettura leggera e semplice, ma che non mancherà di farvi riflettere e immedesimare.



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