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Gender Visuals: foglietto illustrativo

Aggiornamento: 22 apr 2021

Di Angela Saccaro


Il potenziale di Gender China è difficile da ignorare. Una piattaforma attraverso la quale poter dare voce e mettere a confronto più espertᴈ e studiosᴈ, in modo da contribuire ad una narrazione quanto più eterogenea e stimolante riguardo ad un tema così importante. Uno degli obiettivi principali di Gender China, infatti, è proprio favorire lo scambio di informazioni, cercando così di aumentare attenzione e sensibilità riguardo la presenza degli studi di genere in Asia e, per il momento, soprattutto in Cina.


Gli studi di genere non vanno visti come un ambito di studio separato da altri, né come un compartimento stagno che precluda l’intersezione di questo con altri ambiti della ricerca accademica; al contrario, gli studi di genere sono una lente attraverso la quale guardare il mondo che ci circonda e analizzare le varie dinamiche ad esso appartenenti.

È proprio alla luce di queste considerazioni, e valutando le diverse applicazioni della lente dei gender studies al contesto cinese, che è nata l’idea della rubrica Gender Visuals.


Da anni si discute dell’importanza della rappresentazione mediatica nello sviluppo dei fenomeni a matrice sociale, e di come spesso un cambio di narrazione ne influenzi la percezione da parte del pubblico. È altresì importante, però, tenere a mente che la narrazione proposta dai vari enti pubblici e privati costituisce un’importante finestra sulla percezione del fenomeno da parte dell’ente stesso. Queste considerazioni diventano importanti soprattutto nel momento in cui vengono applicate alla pubblicità non-commerciale[1], in particolare a quella prodotta e promossa da organi statali.

Come ricordano Gadotti e Bernocchi, la pubblicità (intesa nel senso più ampio del termine) generalmente ricopre due ruoli: quello di mirror e quello di shaper della società che rappresenta[2]. Nel primo la pubblicità si fa specchio della società e del contesto nei quali opera e ai quali è indirizzata; è grazie alla funzione di mirror che possiamo utilizzarla come cartina tornasole del proprio contesto storico e sociale. Nel suo ruolo di shaper, invece, la pubblicità riesce, se non a cambiare radicalmente, sicuramente a favorire e indirizzare dei processi di cambiamento sociale e culturale aventi luogo nel contesto in cui è inserita e al quale si riferisce[3].


È quindi evidente come le narrazioni adottate possano svelarci importanti dettagli riguardo, oltre al fenomeno sociale o culturale in sé e al contesto storico nel quale si è sviluppato, soprattutto alla percezione di questo da parte dei promotori dei messaggi pubblicitari; promotori che spesso hanno una rilevanza non indifferente, se consideriamo ad esempio gli enti statali.


L’idea di aprire la rubrica Gender Visuals è nata proprio da queste premesse: data l’importanza del ruolo dei messaggi pubblicitari, soprattutto quando si parla di pubblicità sociale o statale, mi è sembrato importante poter (provare a) dare il mio contributo attraverso l’analisi della figura della donna nella comunicazione sociale e istituzionale cinese.

Lo so, fin qui non sembra particolarmente interessante, ma solo perché non ho ancora detto la parola magica: propaganda. Ora sembra tutto molto più emozionante, vero?

Ma perché quindi ho deciso di non utilizzare questo termine fino a qui? La ragione di questa scelta è che l’accezione contemporanea che abbiamo del termine ‘propaganda’ è figlia della retorica della Grande Guerra[4]: una volta reintrodotta la parola, che prima aveva il significato neutro di “qualcosa che viene diffuso”, è stata impiegata per riferirsi ad una pratica dalle implicazioni negative. Tutt’oggi in questa parte di mondo parlare di ‘propaganda’ vuol dire parlare di qualcosa di “disonesto e negativo”[5] a prescindere. Sia chiaro, la propaganda esiste ed è un fenomeno ben identificabile del quale si è discusso a lungo in testi interessanti come Endless Propaganda di Rutherford, in cui l’autore cerca di delimitare il campo d’azione e d’impiego di questa pratica. Allo stesso modo però, va tenuto a mente che è un termine del quale molto spesso si abusa, che viene utilizzato per leggerezza anche per strategie comunicative che non sono di fatto legate a questa pratica. Infatti, è uso comune includere nella categoria ‘propaganda’ anche la pubblicità sociale, che si differenzia da questa per gli intenti che la caratterizzano[6].


Per quanto riguarda l’impiego della parola propaganda, la Cina rappresenta un’importante eccezione nel panorama internazionale: il termine (in cinese宣传xuān chuán) ha conservato a lungo il proprio significato neutro ed è stato usato in quest’accezione. Va comunque sottolineato che, soprattutto negli ultimi anni, la Cina si è conformata all’usanza diffusa negli altri paesi e ha iniziato a diminuire l’uso della parola, pur continuando a considerarla, di base, un termine non negativo. Questa particolarità tutta cinese ha fatto sì che il termine venisse a lungo usato in riferimento a più categorie di comunicazione, che di fatto si sono evolute intersecandosi l’une alle altre seguendo via via le necessità della classe dirigente del paese[7].


Fatte le doverose distinzioni, in questa rubrica verranno presi in considerazione sia elementi di propaganda che di comunicazione sociale (e statale) provenienti dalla Cina: sostanzialmente prenderò in analisi i materiali di propaganda statale intesi nel senso letterale del termine, “ciò che è stato diffuso dal governo centrale (o con il beneplacito di questo)”.

Le considerazioni che verranno effettuate sui materiali presi in considerazione avranno lo scopo di illustrare come, negli anni, l’autorità centrale cinese abbia veicolato l’immagine della donna e il ruolo che questa doveva avere all’interno della società. Nel condurre questo tipo di analisi saranno chiaramente coinvolti gli studi di genere, cercando di seguire le impronte di chi si è dedicato a questo lavoro in precedenza, come le studiose Tina Mai Chen e Harriet Evans. Importante ai fini dell’analisi sarà anche la componente semiotica delle rappresentazioni che vedremo, che fornirà un importante strumento per l’interpretazione di queste.


Spero che questo possa essere l’inizio di un bel percorso, e che questa rubrica riesca a trasmettere il mio amore e la mia passione per questo campo di studi al quale mi dedico da ormai un paio d’anni.


 

NOTE E FONTI

[1] Con il termine ‘non-commercial advertising’ ci si riferisce a tutta la produzione pubblicitaria che ha come oggetto e soggetto ciò che non è legato a beni e servizi a scopo di lucro, come illustrato in E. Sandage, Elizabeth A. Sandage, Noncommercial Advertising: Development of Conceptual Framework and Definitions; Comparative Analysis of Growth Since 1952 (Tesi di dottorato, Illinois: Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, 1983), 1. Come sottolinea Gadotti, le varie formule utilizzate per riferirsi a questo settore di produzione pubblicitaria sono generalmente litoti, e vanno quindi a definire il campo escludendo gli elementi che non ne fanno parte piuttosto che indicando quelli che lo caratterizzano. Giovanna Gadotti, Pubblicità Sociale. Lineamenti, Esperienze e Nuovi Sviluppi (Milano: FrancoAngeli, 2003), 26.

[2] Giovanna Gadotti e Roberto Bernocchi, La Pubblicità Sociale. Maneggiare con Cura (Roma: Carocci editore, 2010), 25.

[3] Ibidem.

[4] Gadotti e Bernocchi, La Pubblicità Sociale, 22.

[5] Garth S. Jowett e Victoria O’Donnell, Propaganda and Persuasion, 6th ed. (Thousand Oaks: Sage Publications, 2015), 2.

[6] Mentre la propaganda è contraddistinta dalla manipolazione consapevole del pubblico, anche attraverso l’impiego di menzogne ed inganni, la pubblicità sociale è invece un tipo di comunicazione non ingannevole che avviene nell’interesse del pubblico. (Gadotti e Bernocchi, La Pubblicità Sociale, 22.)

[7] Andrew J. Nathan, Chinese Democracy. The Individual and the State in 20th Century China (London: I. B. Tauris & Co., 1986), 134.

 

CHI SONO:

Mi chiamo Angela Saccaro, in Cina 王安琪, ho 25 anni e sono cintura nera di Taobao. Mi sono laureata in interpretariato e traduzione, e al momento sto seguendo un master in marketing e comunicazione. Su Gender China mi occupo prevalentemente della rubrica Gender Visuals (e sono la 助手 di Cristina).

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