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Le rappresentazioni LGBT in Cina fra capitalismo pink e voci indipendenti.

Di Federico Picerni


Nelle prime settimane di gennaio 2020, appena prima che l’epidemia da COVID-19 monopolizzasse l’attenzione mediatica, Tmall (in cinese Tianmao 天猫), nota e ricca piattaforma di e-commerce sotto Alibaba, fece uscire una pubblicità in occasione della Festa di Primavera, o capodanno lunare. Tutto nell’ordinario: molte aziende producono pubblicità mirate per questo specifico momento dell’anno, caratterizzato da un’impennata degli acquisti per regali e altro. Come sa bene chi può vantare frequentazioni cinesi, il capodanno lunare in Cina è, per tradizione, il momento in cui le famiglie si riuniscono per un paio di settimane, non di rado in campagna, presso il luogo di residenza della generazione più anziana (i “nonni”), fra lauti banchetti e interminabili tour di visite a parentado e amici. In un certo senso, il capodanno lunare è anche una celebrazione della famiglia eteropatriarcale: ciò è vero non solo se si tiene conto della sua estetica e simbologia, fortemente famigliari, ma anche della pratica di sfruttare l’occasione per combinare incontri tra figliз adultз ancora single (il famoso xiangqin 相亲, o match-making, con tanto di moderne mezzane), o nell’abitudine di presentare lз nuovз partner ai propri genitori.


La pubblicità di Tmall, parte di una serie dedicata agli sconti offerti dalla piattaforma per il capodanno lunare, si svolge nella tipica situazione in cui un uomo, apparentemente sulla ventina, torna a casa per il capodanno. Ad accompagnarlo c’è un altro uomo, Kelvin (chiamato quindi con un nome inglese), che viene presentato alla famiglia così come avverrebbe “di norma” con una nuova fidanzata. I genitori sono visibilmente perplessi, mentre le ragazze presenti (forse le cugine) si godono lo spettacolo mentre vengono loro offerte noccioline e frutta secca da sgranocchiare, tipo popcorn, appunto oggetto della pubblicità. Siamo quindi chiaramente a metà fra l’allusione e la spettacolarizzazione: il rapporto fra i due ragazzi non è mai esplicitato, ma fortemente sottinteso, perché il pubblico intenda. Peraltro, a un certo punto, Kelvin ringrazia il padre di famiglia, che gli sta offrendo una ciotola di cibo, chiamandolo “papà”, come farebbe una fidanzata. Alla fine, lo sbigottimento è superato e il banchetto prosegue gioioso.


Perché una pubblicità così apparentemente “ordinaria” desta – e giustamente! – tanto interesse? Anzitutto, c’è da tenere presente che in Cina la rappresentazione televisiva dell'omosessualità è espressamente vietata, nonostante essere omosessuale non sia più considerato un crimine dal 1997. Una norma dell’Amministrazione di Stato per la stampa, le pubblicazioni, la radio, il cinema e le televisioni (in una parola: la censura di Stato), entrata in vigore nel 2016, assimila infatti l’omosessualità ad attività sessuali devianti da censurare, insieme a pedofilia, adulterio, incesto e violenza. Che questa pubblicità sia stata possibile costituisce senza dubbio un segnale. Non è il solo: negli ultimi anni, tribunali cinesi hanno preso in esame richieste di riconoscimento di matrimoni fra persone dello stesso sesso (respingendoli, ma è importante che li abbiano considerati casi su cui dibattere) e vi sono state petizioni all’Assemblea nazionale del popolo – il parlamento – perché questi matrimoni vengano riconosciuti dalla legge. E, più in generale, da parte della società civile si ravvisano maggiori disponibilità all’ascolto e alla comprensione, più che alla condanna. [1]


Una possibile interpretazione per questi cambiamenti giunge da un’analisi di classe. La formazione di una “classe media” con notevoli capacità di spesa, insieme alla crescita dell’attivismo LGBT middle-class, ha creato una nuova platea di consumatorз in grado di farsi notare. Che su Tmall si trovino molti marchi euro-americani e che il ragazzo “incriminato” della pubblicità abbia un nome inglese, Kelvin, sembrano andare proprio nella direzione di quel “cosmopolitismo immaginario” identificato da Hongwei Bao, nel suo ottimo studio Queer Comrades, come caratteristico dell’attivismo LGBT urbano, dovuto alla vicinanza e alla conseguente facilità di mescolarsi con la comunità expat di grandi città come Shanghai, Canton e Pechino. [2] Questa fascia di consumatori in espansione ha quindi creato la base sociale di queste forme acerbe di capitalismo pink.


Passo indietro: cos’è il capitalismo pink? Un’ottima definizione di questo fenomeno, che si trova a uno stadio piuttosto avanzato in Europa – meno in Italia – e America (basti pensare ai Pride sponsorizzati dalle multinazionali, Google e Amazon in primis), è fornita da Livio Di Salvatore nella sua tesi dedicata proprio al pink capitalism con le famigerate caratteristiche cinesi: il capitalismo pink condensa le “strategie di marketing rivolte al segmento di mercato degli LGBT. […] La pink economy, infatti, parte da un presupposto non scontato, cioè che esista un segmento di mercato accomunato da un orientamento sessuale non eterosessuale, e che questo orientamento sessuale influisca in una certa misura sulle scelte di consumo”. [3]


Più osservatori, già prima del 2020, hanno ravvisato in Cina un capitalismo pink in “fase di apprendimento”, ancora acerbo ma in fase di sviluppo. [4] Didi Chuxing (l’Uber cinese) è un’altra potente azienda cinese che ha alle spalle almeno una pubblicità con forti toni omoerotici. La stessa Tmall si sarebbe impegnata a reinvestire il ricavato nel proprio progetto di hotline per le persone LGBT. Il 27 giugno 2015, all’indomani dell’approvazione del matrimonio omosessuale negli Stati Uniti, Tmall si unì al coro arcobaleno cui assistemmo sui “nostri” social postando su Weibo il profilo di un gatto rainbow con il commento: “L’amore basta” (爱,就够了).


Tuttavia, come non è tutto oro quel che luccica, non è nemmeno tutto rainbow quel che glittera. Torniamo alla pubblicità di Tmall: l’azione si svolge sempre entro i confini della famiglia di stampo eteropatriarcale. Certo, c’è una palese strizzatina d’occhio alle coppie dello stesso sesso (middle-class), ma l’omosessualità non viene apertamente tematizzata. È il classico “un colpo al cerchio e uno alla botte”: la dichiarazione di “inclusività” viene fatta combaciare con la garanzia che la tanto sproloquiata “famiglia tradizionale” non è a rischio. In questo senso, la soggettività queer presentata da Tmall è tutto fuorché queer: è, anzi, pesantemente normativa (nel senso che corrisponde ai canoni dell’eteropatriarcato dominante).


L’omonormatività è un fenomeno tipicamente post-liberazione gay che consiste nel replicare le abitudini e i valori della forma dominante e istituzionalizzata di eterosessualità anche sulle coppie omosessuali. Rispetto a un approccio conflittuale per combattere la norma, l’omonormatività vuole dimostrare che anche le persone LGB (quelle trans sono sovente oscurate) possono adattarsi a tale norma. In quanto tendenza piccolo-borghese in seno al movimento LGBT – oggi dominante –, va a braccetto con il capitalismo pink, perché esprime appunto gli interessi di chi ha maggiore capacità di spesa e, a volte, posizioni consolidate nella società. Alcuni aspetti dell’“omonormatività con caratteristiche cinesi” sono studiati, per esempio, da Tiantian Zheng nel suo libro Tongzhi Living: la studiosa segnala soprattutto la ripetizione dei ruoli di genere tipici dell’eteropatriarcato anche fra coppie dello stesso sesso, dove a preferenze o identità sessuali (attivo, passivo; butch, femme), anzianità (vecchз, giovane) e condizione economica (riccз, poverз) vengono fatti corrispondere ruoli di dominazione o sottomissione. [5]


Ora, poteva una pubblicità dire tutto quello che doveva essere detto? Ovviamente no. È quindi tutto da buttare? Anche in questo caso la risposta è no, perché persino il capitalismo pink può aprire delle brecce in un contesto autoritario come quello cinese. Tuttavia, è importare anche riflettere sui limiti e sui rischi che esso comporta.


Il problema principale dell’omonormatività è che dimentica non soltanto la storia dello stigma e dell’oppressione sistemici che hanno accompagnato le esistenze e le battaglie delle persone queer, ma anche il presente delle persone LGBT che non sono funzionali in quanto consumatori e coppie monogamiche, continuando perciò a non conformarsi ai canoni imposti dal capitalismo pink. Restando nel caso cinese, pensiamo per esempio alle persone queer che appartengono alle classi sociali subalterne e vivono nei bassifondi delle città, come le migliaia di lavoratori migranti dalle campagne, per non parlare di chi vive nelle zone rurali. Dal punto di vista simbolico e sociale, queste persone sono ancora “devianti” (liumang 流氓) – per usare il termine usato dal codice penale cinese per criminalizzare le persone omosessuali fino al 1997.


Una domanda che può guidare i nostri ragionamenti sul tema potrebbe quindi essere: L’egemonia facilmente ottenuta dal capitalismo pink nello stabilire la rappresentazione delle persone LGBT non continua a escludere una fetta consistente di questi individui non solo dalla società eteronormativa, ma anche dal regno “emancipato” dell’omonormatività?


Pur senza usare le parole “capitalismo pink” e “omonormatività”, già Mario Mieli, nei suoi Elementi di critica omosessuale del 1977, aveva raggiunto conclusioni molto precise che è utile ricordare:


La «perversione» è venduta al dettaglio e all’ingrosso, è studiata, sezionata, valutata, mercificata, accettata, discussa; diventa di moda, in e out […]

il sistema oggi liberalizza le «perversioni», allo scopo di sfruttarle ulteriormente nella sfera economica e di sottomettere ai fini della produzione e del consumo tutte le tendenze erotiche. La liberalizzazione — l’ho già detto più volte — si rivela funzionale soltanto alla mercificazione, che ha luogo nell’ottica mortifera del capitale.


E ancora:


Lungi dal liberarsi autenticamente, in tal modo l’omosessualità recita un ruolo di primo piano nello spettacolo capitalistico totalitario.[6]


In altre parole, per il capitale e la classe dominante, l’esistenza delle soggettività queer viene riconosciuta solo quando diventa consumante e consumabile.


È perciò fondamentale valorizzare forme di rappresentazione LGBTQ che rischiano di essere altrimenti dimenticate. Preservarle e dare loro visibilità è importante per tenere in vita un punto di vista indipendente, in grado di offrire una visione della realtà alternativa rispetto a quella unidimensionale offerta dagli ambienti del capitalismo pink. Benché in Cina non sia facile avanzare quelle che considereremmo “narrazioni alternative”, sarebbe altrettanto sbagliato pensare che non ve ne fossero. Un caso è costituito dalle ONG impegnate su tematiche LGBT, un altro dai film festival che, malgrado la repressione si stia facendo sempre più soffocante, continuano a costituire uno spazio di elaborazione anche teorica, in mancanza di altri. E poi vi è la sterminata letteratura prodotta online da autrici e autori assolutamente amatoriali, che però hanno affrontato i problemi delle persone LGBT con una profondità e un’accuratezza anche spiccatamente narratologiche di tutto rispetto (per non parlare dei fumetti: con Cristina ne abbiamo parlato a Bottega pirata)[7]. Lo si può vedere, in particolare, dal brano che segue. Esso è tratto da “Huizi”, un racconto di formazione scritto nel 1999 da Xiaohe. Il racconto, nelle parole di Rachel Leng, rifiuta il lieto fine dell’“utopia queer” per far risaltare invece gli ostacoli socio-culturali frapposti all’accettazione di sé.[8] Nel brano in questione, uno dei due protagonisti, Xiaoyang, è travolto dalla vergogna e dal senso di colpa dopo essersi masturbato per Haizi, il ragazzo di cui si è infatuato. Pur appartenendo a un’altra epoca, specie per quanto riguarda un Paese attraversato da cambiamenti rapidissimi e radicali, come la Cina, quelle pagine sembrano parlare all’oggi, non a un remoto passato:


“Le mie mani erano sudicie di fluido corporeo appiccicoso. Mi alzai per pulirmi del mio stesso sperma. Mi passai e ripassai la carta igienica sulle mani, ma non si pulivano, e frammenti di carta igienica restavano appiccicati dappertutto. Strofinai con più foga, sempre più foga!

[…] Uscii nel cortile, accesi la pompa dell’acqua e mi chinai mettendo la testa sotto i fiotti d’acqua. […] L’acqua, limpida e gelida, a poco a poco lavò via la secca calura estiva. L’acqua si faceva più fredda man mano che sgorgava fuori, e il freddo cominciò a far male... ma non volevo fermarmi: avevo bisogno di quel dolore. Volevo lavare via del tutto il fluido corporeo che avevo sulle mani, le lacrime che avevo sulle guance, e i pensieri luridi che mi giravano in testa.

La mia vita da studente universitario cominciò dopo aver lavato il mio corpo sudicio con quell’acqua gelida. Ero così ingenuo da pensare che quella cascata d’acqua potesse lavare via il mio amore per Huizi e il mio desiderio per gli uomini.”


Lavare il capitalismo e uno Stato autoritario di arcobaleno basta per lavare via l’oppressione storica? Oppure finisce solo per riprodurre quella stessa oppressione per le soggettività queer incapaci di conformarsi ai confini dell’omonormatività? La Cina è la prova vivente che l’economia di mercato non è la sposa naturale della libertà politica. Finirà per diventare un’ulteriore prova del divorzio fra il capitalismo pink e la liberazione queer?



 

NOTE [1] Gabriele Battaglia, “A che punto sono i diritti lgbt in Cina”, Internazionale, 15 dicembre 2017. [2] Hongwei Bao, Queer Comrades: Gay Identity and Tongzhi Activism in Postsocialist China, Copenhagen: NIAS Press, 2018. [3] Livio Di Salvatore, Bio-potere con caratteristiche cinesi: il caso del pink yuan, tesi di laurea magistrale, Università Ca’ Foscari Venezia, 2019, p. 35. [4] Jamie Fullerton, “The pink yuan: how Chinese business is embracing the LGBT market”, Guardian, 5 gennaio 2017. [5] Tiantian Zheng, Tongzhi Living: Men Attracted to Men in Postsocialist China, Minneapolis: University of Minnesota Press, 2015. [6] Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Torino: Einaudi, 1977 (versione digitale a cura di [antagonismogay]), pp. 198-199 e 108. [7] La registrazione del primo incontro della rubrica #FumettiAlVapore si può visionare a questo link. Nell’occasione affermai erroneamente che “Huizi” era stato scritto da Beijing Tongzhi; questo articolo mi dà l’occasione di correggermi. [8] Rachel Leung, Tongzhi Tales in Mainland China. Chinese Gay Male Subjectivities in Online Comrade Literature, tesi di laurea, Duke University, 2013, p. 25 e 62.


 

CHI SONO

Ho cominciato a studiare la Cina presso l’Università di Bologna… e non ho più smesso. Tra le mie altre passioni: leggere, nuotare, andare in montagna, fare militanza politica di sinistra. Nel tempo libero cerco di completare la mia tesi di dottorato in letteratura cinese contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia in cotutela con l’Università di Heidelberg.

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