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Gender China

Come la Rivoluzione Culturale rimodellò l’uguaglianza di genere nelle giovani istruite.


Di Patrizia Piscitelli


Se dico Rivoluzione Culturale, cosa ti viene in mente?

Schiere di giovani uomini e donne con berretti bombati, giacca maoista verde scuro e con in mano il Libretto rosso [1], impugnato e sguainato come una spada. Sono le Guardie Rosse.

I giovani, specialmente adolescenti, sono il cuore pulsante della Rivoluzione Culturale. E sono proprio loro i protagonisti di un altro movimento di massa come quello delle Guardie Rosse: la campagna di rieducazione “Salire sulle montagne e scendere verso i villaggi” (上山下乡运动 shàngshān xiàxiāng yùndòng). [2] Si tratta dell’esodo di milioni di adolescenti tra i 15 e i 20 anni riversati nelle campagne per essere rieducati dai contadini. Sono chiamati i “giovani istruiti” (知青青年 zhīqīng qīngnián).


La retorica rivoluzionaria dell’uguaglianza di genere non risparmia nemmeno loro. Uomini e donne sono uguali nell’aspetto e nel carattere. Sembrerebbe una vera e propria cancellazione del genere e della sessualità, in nome della neutralità. Questo, tuttavia, è limitante. Vestirsi e comportarsi come gli uomini rappresenta un illusorio passo in avanti per l’emancipazione femminile.


«I tempi sono cambiati, uomini e donne sono uguali» [3]

Jiang Qing, moglie di Mao, indossa un completo militare e ha i capelli corti. È il simbolo delle eroine rivoluzionarie.

Durante tutto il decennio, il modello della donna maoista viene incapsulato in due rappresentazioni: le “ragazze di ferro”, simbolo del duro lavoro maschile, già presente con il Grande Balzo in Avanti; le “guardie rosse”, militanti rivoluzionarie. Come nel film Red Detachment of Women, in cui l'espressione «il potere politico nasce dalla canna del fucile» diventa la via di fuga dall’oppressione feudale e patriarcale della società cinese.


Cos’hanno in comune questi due modelli? Sono mascolinizzati nell’aspetto e nelle azioni. Ecco che anti-femminilità e antiborghesismo plasmano il potente messaggio rivoluzionario.


Bisogna abbattere i “Quattro vecchiumi” [4] e tacciare tutto ciò che è borghese. Fermacapelli, profumi, rossetto rosso scompaiono dalla collettività. La “All-China Women’s Federation” [5] viene silenziata nel 1966 e qualunque tipo di attivismo dichiarato moralmente inappropriato.


«Uomini e donne sono uguali» è una missione emancipatoria. Per essere libere, le giovani donne devono abbandonare quelle costruzioni di genere che le allontanano dalla lotta di classe. Contestare le femminilità nelle sue forme borghesi significa abbracciare fedelmente la rivoluzione. Per le giovani istruite, la campagna di rieducazione è la causa per cui combattere.


«Amano le loro uniformi da battaglia, non le sete e i rasi»

Le giovani istruite mandate nelle remote campagne indossano abiti blu scuro, verde militare, grigio o nero; si tagliano i capelli corti; alle volte, indossano abiti usati dai coetanei maschi.

L’acconciatura e l'abbigliamento assumono un significato politico. Lottare contro i vecchi sistemi patriarcali che impediscono alle donne una sfera pubblica e spogliarsi dei vizi borghesi della cura del corpo poggiano sul tripode che le motiva.

Femminilità e rivoluzione non possono militare insieme. Essere femminili significa non contribuire alla causa.


«Come sono radiose e coraggiose, con quei fucili lunghi un metro e mezzo sulle spalle,

nella piazza d'armi illuminata dai primi barlumi del giorno.

Le figlie della Cina sono ambiziose,

amano le loro uniformi da battaglia, non le sete e i rasi.» [6]


L’uguaglianza di genere segna quindi non tanto l’annullamento delle differenze, quanto il rimodellamento della femminilità alla mascolinità, dal vestiario al comportamento. Qualsiasi affermazione di un’identità specificatamente femminile viene denunciata e etichettata come borghese, antirivoluzionaria, illegale. Perché quest’idea della femminilità è d’ostacolo all’emancipazione.


«Ciò che possono fare i compagni uomini, lo possono fare anche le donne»

Prendere parte alla campagna di rieducazione significa abbracciare il disegno rivoluzionario. Lavorare nelle campagne al fianco dei contadini è la falce che taglia alla radice le disuguaglianze, dal divario città-campagna al lavoro manuale-intellettuale.


Uguaglianza significa rivincita. L’emancipazione inizia dal duro lavoro. L’entusiasmo che molte giovani istruite manifestano per il pesante lavoro manuale è quasi surreale; ma per dimostrare il loro valore e la determinazione rivoluzionaria è necessario. Lo comunicano le immagini rivoluzionarie: le dure lavoratrici sono eroine.

La valorizzazione del lavoro manuale ha anche dei costi molto salati: si soffrono condizioni igieniche pessime e nonostante il dolore sia insopportabile, è vietato dirlo pubblicamente. C’è un senso di pudore nel parlare di mestruazioni e paura nel chiedere un permesso di riposo, perché considerato un vizio. Parlare in pubblico di amore è borghese; pensare alla sessualità, invece, deviante.


Il rischio di essere classificate come “cattive”, cioè contro rivoluzionarie, è troppo alto. Stupri e ricatti da parte dei quadri delle Guardie Rosse comportano pubbliche umiliazioni, matrimoni combinati con persone con disabilità e la lettera scarlatta del nemico pubblico. Per paura di ripercussioni, molti compagni di lavoro evitano gli sguardi degli oppositori.


«Mettere le radici» (扎根 zhā gēn) è un altro aspetto importante per favorire l’inserimento nelle campagne. L’innalzamento dell’età matrimoniale a 23 per le donne e a 25 per gli uomini residenti in campagna (a 25 e 28 per i cittadini) risponde non solo a necessità economiche- scarsi alloggi e pianificazioni delle nascite [7]- ma soprattutto a espedienti ideologici- sfruttare appieno le potenzialità dei giovani istruiti ritardandone il matrimonio.

Per le donne dallo status sociale “cattivo” o meno favorevole, mettere le radici è un’occasione da cogliere per ricostruirsi stabilità e prestigio agli occhi dei quadri e del partito centrale. Tuttavia, c’è uno scotto da pagare, quello della residenza (户口 hù kǒu) che impedisce eventuali trasferimenti dalle campagne alle città e su cui peserà il reinserimento dei giovani istruiti durante il governo di Deng Xiaoping.


Molto interessanti sono le testimonianze, scritte e orali, che ricordano gli anni di rieducazione con nostalgia. Nonostante fossero vietati, l’amore (eterosessuale e omosessuale) e la sessualità circolano fugaci tra i giovani adolescenti, costituendo una letteratura underground fatta di storie di passione e di sentimenti, che riqualificano e celebrano i giovani istruiti. Grazia alla rete e alla voglia di testimoniare, sono nati forum e associazioni in cui il passato si guarda allo specchio e stringe il presente per mano.

Ma qual è stato il prezzo da pagare?


 

NOTE [1] Il termine Libretto rosso è stato coniato dall’Occidente per rimando al colore della copertina; il titolo originale è Citazioni dalle opere del Presidente Mao Zedong. Curiosità: non lo scrisse il presidente Mao di suo pugno, ma fu compilato da Lin Biao, generale e politico fedelissimo al Partito Comunista. [2] Inizia timidamente durante gli anni Cinquanta ma si avvia su larga scala a partire dal 22 dicembre 1968 e termina ufficialmente nel 1979. [3] Tutti i titoli di apertura sono citazioni e slogan circolanti durante la Rivoluzione Culturale. [4] “Vecchie idee, vecchia cultura, vecchie tradizioni e vecchie abitudini” rappresentano il contro rivoluzionario per eccellenza. [5] Fondata il 24 marzo 1949 con l’obiettivo di promuovere e difendere i diritti delle donne cinesi. [6] “Militia Women” (七绝, 为女民兵题照qī jué, wéi nǚ mín bīng tí zhào) è una famosa poesia di Mao del 1961. [7] Il controllo delle nascite ha origine nel 1953, quando durante una campagna, il Partito decise di investigare le condizioni di vita delle famiglie numerose. La pianificazione rimase un tabù durante gli anni Sessanta e Settanta, tant’è che erano comuni cinque o più figli per famiglia. Il controllo massiccio si ebbe negli anni Ottanta, come è noto, con la “politica del figlio unico”.


FONTI

[1] Per un approfondimento sulla Rivoluzione Culturale: G. Samarani, La Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero a oggi, Einaudi, pp. 249-285, 2004.

[2] S. Graziani, “La sessualità e la costruzione/distruzione dell’identità di genere durante la Rivoluzione

Culturale: il caso dei Zhiqing”, in Dep: rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 7, 2007.

[3] Per una lettura sulle conseguenze della campagna di rieducazione: S. Graziani, “Le ragazze Zhiqing. L’esperienza femminile dell’esilio durante la Rivoluzione Culturale Cinese”, in Dep: rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 3, 72-74, 2005.

[4] E. Honig, “Socialist Sex: The Cultural Revolution Revisited”, Modern China, 2, 2003.

[5] W. Yang, F.Yan, "The annihilation of femininity in Mao’s China: Gender inequality of sent-down youth during the Cultural Revolution", China Information, 31(1), 63-83, 2017

 

CHI SONO:

Mi chiamo Patrizia e amo la Cina da quando sono piccola. Nel 2017 volo a Pechino per trascorrere l’anno più bello della mia vita. Nel 2020 ho conseguito il doppio titolo in Lingue e civiltà dell’Asia (Ca’ Foscari) e in TCSOL (Capital Normal University). Nel tempo libero scrivo, suono, canticchio qualche strofa e leggo molto. Qualsiasi cosa- a parte i romanzi rosa.


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