Di Federica Ceccarelli
A qualche anno dall’esplosione in Occidente, ormai per lo più sfogata e privata della sua dirompenza, il movimento Metoo sta conquistando la scena politica e culturale di Taiwan, da tempo considerata come uno degli avamposti liberali e progressisti in Asia.
Lo ha fatto sulla scia della serie Netflix Wave makers, drama politico a puntate che racconta la corsa di un partito politico verso le presidenziali dell’isola. Uno dei filoni narrativi segue la denuncia di una giovane collaboratrice, vittima di molestie da parte dei colleghi maschi. La ragazza confessa l’accaduto a una sua superiore, che prende le sue difese e pronuncia la frase “Let’s not just let this go”, a significare la necessità di scoperchiare un vaso di Pandora preesistente e troppo spesso passato sotto silenzio.
Detto fatto, la battuta è stata ripresa da Chen Chien-Jou 陳汘瑈, giovane impiegata nel PPD (Partito Progressista Democratico), la fazione che governa Taiwan sotto la guida della presidente Tsai Ing-Wen. In un post su Facebook, Chen dichiara di essere stata toccata da un collega durante le riprese di un video promozionale per il partito. La ragazza scrive di avere riportato l’episodio a una superiore la quale, a differenza di quanto avviene in Wave makers, le avrebbe intimato di lasciar correre e rimanere in silenzio, dicendole che nessuno poteva farci nulla e che sarebbero stati avanzati dubbi sull’accaduto: del resto, se Chen si fosse davvero sentita molestata, perché non aveva urlato? Perché non aveva provato a fuggire?
Eppure, a partire dal post di Chen, qualcosa sembra essersi mosso. Internet si è affollato di racconti analoghi da parte di molte donne, forse sull’onda del successo della serie Netflix e di una maggiore consapevolezza delle tematiche di genere da parte delle generazioni più giovani. Numerosi personaggi di spicco del PPD, tra cui Yen Chih-fa 顏志發, consigliere della presidente Tsai, hanno rassegnato le dimissioni, sebbene abbiano per lo più negato le accuse ricevute. L’ondata del Metoo si è estesa anche agli altri partiti politici, incluso il KMT, e a vari livelli della vita politica e culturale dell’isola, come la star della TV Mickey Huang. Tra gli uomini celebri coinvolti, ci sono anche il poeta dissidente cinese Bei Ling 貝嶺, che pare abbia molestato la sceneggiatrice Chien Li-ying 簡莉穎 quando lei era ancora all’Università, e l’attivista cinese pro-democrazia Wang Dan 王丹, che avrebbe tentato di stuprare il funzionario politico Lee Yuan-chun 李援軍 nella propria stanza d’albergo a New York nel 2014. Entrambi hanno negato quanto riportato.
A prescindere dalla veridicità o meno dei singoli episodi, si tratta sicuramente di un passaggio importante per la società civile dell’isola. La presidente Tsai stessa si è pronunciata su quanto sta avvenendo, scusandosi a nome del PPD e dichiarando l’impegno del partito verso l’uguaglianza di genere e la rettificazione dei comportamenti maschilisti da parte dei propri membri. Quel che appare chiaro è che i casi di prevaricazione patriarcale, spesso a sfondo sessuale, non sono sporadici e isolati. In una realtà che si afferma sempre di più come baluardo dei diritti in Asia (il parlamento di Taiwan conta una presenza femminile molto più alta che nel resto dell’Asia, e dal 2019 l’isola ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso), le donne sono ancora vittime di una cultura in cui la molestia sul posto di lavoro è tristemente normalizzata. Il fatto che solo ora tante di loro stiano trovando spazio per raccontare le proprie storie, anche piuttosto lontane nel tempo, prova quanto sia fitto il condizionamento che permette agli uomini di approfittare impudentemente della loro posizione di potere.
Un altro aspetto che vale la pena di sottolineare, e che può dire molto anche alla nostra parte di mondo, è che non sempre l’appartenenza politica è garanzia di impegno per la parità, né tantomeno di femminismo. Il Metoo di Taiwan è partito proprio dalle accuse verso quegli uomini che si dichiarano favorevoli all’uguaglianza di genere, almeno sulla carta. Gli stessi Bei Ling e Wang Dan furono parte del movimento pro-democrazia che portò alle proteste di Piazza Tienanmen nel 1989, e che tra i propri valori aveva la maggiore tutela dei diritti umani. Questo è solo un esempio tra i più recenti di quanto il patriarcato sia subdolo e capace di mimetizzarsi alla perfezione, anzi forse ancora meglio, negli ambienti apparentemente progressisti e democratici. Un esempio di fronte al quale non possiamo permetterci di chiudere gli occhi.
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