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La questione di genere nella Cina maoista: punto programmatico o strumento di consenso?

Aggiornamento: 22 apr 2021


di Federica Ceccarelli


Il Partito Comunista Cinese incluse la questione femminile tra i propri baluardi fin dalla fondazione (avvenuta nel 1921), includendola in una più ampia analisi dello sfruttamento di classe. Secondo l’argomentazione di Engels, che delinea il rapporto fra origine della famiglia, proprietà privata e stato borghese, il matrimonio creerebbe condizioni di sfruttamento, poi replicate dalla società nel suo insieme. Il legame matrimoniale sancirebbe una rigida divisione di spazi e ruoli, stabilendo la proprietà della funzione riproduttiva della donna da parte del marito. In questa visione, le donne sono equiparate al proletariato, poiché le prime non hanno altro capitale al di fuori del proprio corpo. Nella prospettiva del PCC, la risoluzione delle diseguaglianze di classe avrebbe dunque cancellato automaticamente la disparità di sesso. Già a partire da queste parziali premesse, è possibile individuare il carattere strumentale del discorso sull’emancipazione femminile; dapprima ascritto al tema della liberazione nazionale e della modernizzazione dello Stato cinese, esso venne poi incluso nel più grande tema della lotta di classe. La mancata designazione del femminismo come tematica autonoma e a sé stante provocò la delusione e la reazione da parte di gruppi femministi e personalità importanti come la scrittrice Ding Ling, il cui rapporto con il PCC andò deteriorandosi.


Conclusasi la fase bellica e quella della guerra civile, i comunisti portarono avanti la questione femminile sul doppio binario del femminismo di Stato (secondo cui lo stato aveva fra i suoi obiettivi principali quello di garantire la parità fra uomo e donna) e del patriarcato socialista (che manteneva strutture basate sui ruoli di genere finalizzate alla costruzione di una nuova società). Vale la pena di menzionare la Lega delle Donne Cinesi, fondata nel 1949 come interlocutore ufficiale del PCC sul piano della questione di genere. Nel 1950 fu emanata la Legge sul Matrimonio, la quale stabiliva che il matrimonio fosse un accordo registrato dallo stato fra due persone che si scelgono liberamente. Eliminava le forme di scambio economico e poneva il modello normativo della famiglia nucleare (xiaojiating 小家庭), con l’obiettivo di sradicare le modalità feudali del rapporto matrimoniale tradizionale. Tuttavia, “the CCP also used the Marriage Law to enforce its own prescriptions concerning marriage, divorce and sexuality; for the CCP heterosexual monogamous marriage was considered the absolute norm” .[1] In questa prima fase venne dunque ancora promosso un ruolo casalingo della donna, in dinamiche familiari migliorate ma non sostanzialmente stravolte. Rispetto al passato, la famiglia non rappresentava più un’entità autonoma e suprema, ma era sottoposta al Partito. Questo aspetto si inseriva in un ampio discorso di enfasi sulla definizione dei ruoli sessuali e di genere da parte delle autorità.[2] Un’altra data importante fu quella del 1954, quando nella costituzione fu sancito il diritto di voto attivo e passivo per le donne. Anche se il potere decisionale e politico continuò a restare in mani maschili, l’attivismo delle donne e il loro ruolo nella propaganda furono fenomeni massicci e di grande portata negli anni a venire. Con il Grande Balzo in Avanti (1958-1961) si ebbe infatti la mobilitazione totale della popolazione cinese. Se prima veniva incoraggiato il paradigma della casalinga socialista, in questa fase si ebbe la comparsa della figura della lavoratrice modello, che si impegna al pari degli uomini e investe le proprie capacità nella sfera collettiva. Questa partecipazione si tramutava spesso in un ulteriore aggravio delle incombenze sostenute dalle donne, soprattutto nelle zone rurali. Come anche le donne moderne sanno bene, la conquista di spazio pubblico non sempre va di pari passo con una più equa ripartizione del lavoro domestico e di cura.

Nelle aree urbane la condizione femminile vide invece un significativo miglioramento, grazie anche all’istituzione delle unità di lavoro (danwei 单位), con cui nascevano nuovi servizi per la gestione della cura dei figli e di molte dinamiche familiari. L’accelerazione dell’industrializzazione comportò una massiccia immissione di donne nel mondo del lavoro, con il conseguente aumento di indipendenza economica e coscienza sociale. Come precedentemente osservato in merito alla fase nazionalista, la partecipazione e la rappresentazione delle donne assunsero una valenza quasi simbolica: "identification of women with the project of socialist state building by highlighting their diverse public roles, celebrates their contribution to socialist construction, and by extension glorifies and elevates the work they perform, no matter how ordinary, thus raising them to the rank of the leading class of the socialist polity."[3]


Un ulteriore passaggio fu segnato dalla Rivoluzione Culturale, che cancellò la questione femminile come tale: il problema delle differenze di genere venne eliminato dall’enfasi ideologica sul tema della lotta di classe, portando anche alla dissoluzione della Lega delle Donne Cinesi. Il nuovo modello femminile era quello delle eroine di ferro, divenute in tutto e per tutto uguali agli uomini. Le rappresentazioni propagandistiche vedevano donne androgine e prive di qualsivoglia connotazione sessuale e di genere. La violenza con cui le Guardie Rosse di sesso femminile agivano è inoltre interessante in quanto talvolta spiccatamente cieca e pervasiva, forse anche allo scopo di annullare la concezione tradizionale delle donne come soggetti remissivi e sentimentali. In questa fase, fu rinnegata la legittimità della lotta femminista. Si pensava che non ci fosse altra questione al di fuori di quella di classe, e che il rovesciamento definitivo del capitalismo avrebbe portato con sé l’oppressione delle donne ad esso connessa. Quanto fatto non era stato comunque sufficiente a cancellare la lunga storia degli opprimenti vincoli patriarcali, specialmente nelle campagne. Alla negazione della questione femminile non corrispondeva una sua vera e profonda risoluzione, e la disuguaglianza tra uomini e donne si palesò nuovamente sotto il riformismo di Deng, agevolata dalle dinamiche capitalistiche.


Insomma, la disuguaglianza di genere fu un punto nevralgico dei mutamenti storici e politici del XX secolo. Le modalità con cui essa fu esplicitata e gestita non furono sempre omogenee e unitarie. Quello che però rimase costante per tutto il dibattito sulla condizione delle donne (compresa la fase di rimozione durante la Rivoluzione Culturale) fu la subordinazione della questione femminile a obiettivi preponderanti, dalla costruzione della nazione all’edificazione della società socialista.


 

NOTE

[1] Si veda Bailey, Paul J., Women and Gender in Twentieth-Century China, Hampshire, Palgrave Macmillan, 2012, p. 101. [2] Si veda Evans, Harriet. Defining Difference: The "Scientific" Construction of Sexuality and Gender in the People's Republic of China (1995). [3] Si veda Wang, Zheng, Creating a Socialist Feminist Cultural Front: "Women of China" (1949–1966), The China Quarterly, 2010, 204, Gender in Flux: Agency and Its Limits in Contemporary China, p. 841.


FONTI

Bailey, Paul J., Women and Gender in Twentieth-Century China, Hampshire, Palgrave Macmillan, 2012.

De Giorgi, Laura, “Donne in guerra. La rappresentazione del ruolo femminile nella resistenza contro il Giappone, 1937–1945”, La Cina al femminile: il ruolo della donna nella cultura cinese, Roma, Aracne, pp. 145–167.

Evans, Harriet, “Defining Difference: The Scientific Construction of Sexuality and Gender in the People's Republic of China”, Signs, 1995, 20(2), pp. 357-394. http://www.jstor.org/stable/3174953

Manning, Kimberley Ens, “The Gendered Politics of Woman-Work: Rethinking Radicalism in the Great Leap Forward”, Modern China, Jul. 2016, 32(3), pp. 349-384. http://www.jstor.org/stable/20062643

Wang, Zheng, “Creating a Socialist Feminist Cultural Front: Women of China (1949–1966)”, The China Quarterly (Gender in Flux: Agency and Its Limits in Contemporary China), 2010, 204, pp. 827-849,http://www.jstor.org/stable/27917835

 

CHI SONO:

Federica Ceccarelli: la mia prima esperienza in Cina, nel 2017, mi ha fatto innamorare della cultura e della letteratura cinese. Ho conseguito la laurea magistrale in Lingue e Civiltà dell'Asia all'Università Ca' Foscari di Venezia, ora lavoro per un'agenzia che esporta ottimi vini! Quando non lavoro leggo o corro.

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