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Madri prima che donne: su chi grava il peso della famiglia patriarcale cinese?

Di Cristina Manzone


La figura della madre ha sempre incarnato un ruolo subalterno nella società, anche se spesso nascosto dalla glorificazione della sua capacità unica di generare la vita, conservarla e svilupparla. Molto spesso si dà per scontato che una donna debba essere una madre, ed è proprio il suo lato che potremmo definire primitivo, ovvero quello legato alla fertilità e alla Natura, che, in passato così come nel presente, può rivelarsi una delle sue più grandi croci.

Simone de Beauvoir ha scritto:


“Solo dagli uomini le [la Natura] viene il prestigio che gode ai loro occhi; essi si inginocchiano davanti all’Altro, adorano la Dea Madre. Ma, per quanto sembri potente, la Dea è vista e capita attraverso nozioni create dalla coscienza maschile. Tutti gli idoli creati dall’uomo […] in realtà sono subordinati a lui e perciò gli sarà possibile distruggerli.”[1]


La madre è una figura che viene adorata e allo stesso tempo rinchiusa, sovraccaricata di lavoro e di responsabilità che raramente vengono condivisi. Lei è anche addetta alla cura: non solo della propria famiglia, ma, molto spesso a livello metaforico, dell’intera nazione di appartenenza. Sono le donne ad occupare tradizionalmente lo spazio interno (in cinese nei 内), in cui avviene l’educazione dellз figlз, che incarnano a loro volta le nuove generazioni di cittadinз che animeranno e costruiranno il prossimo futuro.


Un brevissimo excursus cinese della storia delle Madri.

Volgendo il nostro sguardo verso la Cina, la rappresentazione della donna-madre non si discosta da quanto appena detto. La narrazione delle virtù materne e la contestualizzazione dei ruoli femminili in generale, sono sempre state tematiche sensibili e di estrema importanza fin dall’antichità. In tal senso, è importante ricordare come il primo volume dell’opera del Lienv Zhuan (Biografie di donne) di Liu Xiang, del 18 a.C., sia dedicato proprio alla categoria delle Madri Esemplari, ovvero alla storie biografiche di tutte quelle madri dotate di una grande moralità e rettitudine. Qua entra in gioco il concetto, di stampo confuciano, secondo cui bisogna far sì che ogni donna sia una “donna virtuosa e una madre saggia”.

Facendo un salto temporale notevole, arriviamo alla fine dell’Impero Qing (1644-1911) in cui, come Cheng afferma nel suo articolo “Going Public Through Education: Female Reformers and Girls' Schools in Late Qing Beijing”, la donna si barcamenava tra i primi sentori di emancipazione e l’ombra, sempre presente, del proprio ruolo familiare. Liang Qichao, tra lз primз intellettualз ad inserire il tema dell’emancipazione femminile all’interno del discorso politico, affermava che l’educazione fosse fondamentale non solo per consentire alle donne di acquisire un’indipendenza economica, ma anche per far sì che diventassero educatrici più illuminate e, di conseguenza, potessero crescere figli capaci di realizzare la modernizzazione nazionale. [2] L’educazione femminile doveva mirare al progresso della nazione o alla costituzione di soggetti consapevoli e realmente autonomi? Anche in questo periodo, in cui un’aria di riformismo faceva da padrona, la figura della donna-madre non perdeva più di tanto la sua funzione originaria.

Altro salto temporale, arriviamo alla Rivoluzione Culturale in cui, nonostante il tentativo di eliminare la differenza tra i generi (per saperne di più LEGGI QUI), le “iron women” dovevano essere non solo lavoratrici insaziabili (puoi approfondire QUI), ma anche e soprattutto madri della Rivoluzione. Ciò comportava una partecipazione attiva ai processi rivoluzionari senza tralasciare il lavoro riproduttivo e la responsabilità della cura.[3]

Con l’avvento della politica denghiana, avvenne un ribaltamento sostanziale per quanto riguarda i ruoli di genere: il concetto di “femminilità”, prima rigettato come borghese, ritornò in auge anche attraverso le campagne politiche e sociali, ritornando a definire tutte le caratteristiche e le occupazioni adatte alle donne. Il ruolo di madre, che come abbiamo visto, con i suoi alti e bassi, è sempre stato sottoposto a strumentalizzazioni di genere, ritorna anch’esso nella sua eccezione più essenzialista: si mira ad allontanare le donne dai luoghi di lavoro (lo spazio esterno, il wai 外) per ritornare a quello interno (il nei内). Lo spazio domestico incarna una nuova unità economica, che va portata avanti nell’interesse del benessere collettivo. Questa prospettiva ricolloca i diritti delle donne in ottica delle necessità dello stato. [4]


Le Madri di oggi e l’affermazione sociale della famiglia patriarcale attraverso le politiche degli ultimi anni.

Secondo Yige Dong e Angela Xiao Wu, la perdita di un senso di collettività socialista, in seguito alle privatizzazioni avvenute in seno alle aperture economiche degli anni ’80, è riscontrabile nello sgretolamento del sistema del welfare pubblico. La conseguenza è il ridimensionamento della sfera pubblica e di quella privata nella vita deз cittadinз cinesi.[5] Questo comporta una rimodulazione delle responsabilità considerate “femminili”: da un lato impelle la necessità di lavorare per poter assicurare un certo benessere familiare, nonché l’accesso a servizi ormai privatizzati, dall’altro viene rinnovata la pressione sociale sui ruoli tradizionali di madre e moglie. Nettamente in contrasto con la “mascolinizzazione” avvenuta durante il periodo maoista in nome dell’uguaglianza di genere, la rappresentazione mediatica delle donne è sempre più sessualizzata e conforme all’immaginario genderizzato della femminilità. Non è un caso che sotto il governo di Xi Jinping ci sia stato un recupero dei valori e della moralità confuciana, con la ri-valorizzazione di principi come la pietà filiale e la stratificazione della società in base alla classe e al genere.[6]


Quanto detto finora è riscontrabile anche nell’attività politica della All Chinese Women’s Federation, organizzazione, legata al PCC, che ha come obiettivo lo sviluppo e la difesa dei diritti delle donne.

La campagna della “felicità della famiglia e dello stare bene” è stata lanciata poco più di un anno fa e ha come scopo quello di offrire e implementare diversi servizi per il benessere familiare “including guiding the whole society to pay more attention to family building, further promoting the new social norm of socialist family civilization, and contributing to the improvement of laws and policies on family education”. In ciò sono inclusi servizi gratuiti per le donne, forniti dalla ACWF, che riguardano il mantenimento della casa, della salute e della famiglia.[7]



Come primo passo di avvio della campagna, l’organizzazione invita le famiglie a condividere foto dei propri ricordi in famiglia, scegliendo preferibilmente dei momenti che possano esplicitamente comunicare i principi e le tradizioni oggetto della campagna stessa. L’intento, infatti, è di promuovere l’eredità delle virtù familiari “such as maintaining harmony between husband and wife, respecting the elderly, loving the young, educating children in a scientific way, being industrious and thrifty in marriage and family, and helping neighbors, among other virtues and merits”.[8]





Questa campagna, la cui fine è prevista per il 2023, promuove non solo dei valori familiari tradizionali (e confuciani) precisi, ma reitera allo stesso tempo l’importanza sociale del matrimonio. Potremmo definirla una versione più organizzata e ampliata di quello che fu il Family Day in salsa nostrana.


Facciamo un passo indietro. Nel numero di ottobre 2019 della rivista della ACWF, si fa riferimento ad un’iniziativa indirizzata alle donne che abitano le zone rurale della provincia dello Shaanxi. Quest’ultima, ha lo scopo di organizzare workshop per proporre “lavori ideali” alle donne povere e spesso sole che vivono nelle campagne.



Al di là della scelta dei lavori considerati “ideali”, verso la fine dell’articolo si sottolinea come positivo il fatto che i luoghi di lavoro siano vicini alle abitazioni delle lavoratrici, consentendo quindi alle donne di potersi prendere cura dei figli e dei parenti.

Bisogna ricordare che la vita delle donne rurali è scandita da ritmi, abitudini e valori diversi da quelli delle cittadine, tuttavia è comunque interessante notare come la narrazione attuata in questo breve articolo, che è conforme a quella presente in altri scritti dello stesso giornale, dimostri che il lavoro di cura è ancora considerato come la principale occupazione delle donne cinesi.


Questi pochi ma significativi esempi illustrano bene la direzione intrapresa dal PCC in merito alla politica familiare: la sponsorizzazione di una famiglia patriarcale ed eterosessuale. La figura della madre diventa il capro espiatorio di un’organizzazione sociale che giustifica la subordinazione della donna con l’aspirato raggiungimento di una collettività in realtà escludente e stratificata.


Le femministe cinesi hanno lottato e provano a lottare tutt’oggi contro questo sistema familiare e matrimoniale. Rivendicano il proprio diritto di non sentirsi socialmente obbligate ad avere figli e a sposarsi. Infatti, la retorica della famiglia, evidente nelle campagne prima presentate, ha fondamenti sociali ben saldi. [9]


(“Matrimonio forzato, torna da dove sei venuto. Della mia vita decido io. Questo Capodanno, nessuna pressione per il matrimonio.”)



In Cina, così come nella nostra parte di mondo, il peso sociale e emotivo della famiglia patriarcale grava sulle spalle delle donne-madri.

Solo uno dei tanti esempi che dimostra che il patriarcato è un problema transnazionale.


“Non vogliamo pensare alla maternità tutta la vita e continuare a essere inconsci strumenti del sistema patriarcale”

(Manifesto di Rivolta Femminile, 1970)


 

NOTE [1] Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Milano, Il Saggiatore, 2016 [1949], p. 91. [2] Weikun Cheng, “Going Public Through Education: Female Reformers and Girls' Schools in Late Qing Beijing”, Late Imperial China, 21:1, June 2000, p. 110. [3] Alicia S.M. Leung, “Feminism in Transition: Chinese Culture, Ideology and the Development of the Women’s Movement in China”, Asia Pacific Journal of Management, 20, 2003, p. 365-366. [4] Ibid., pp. 367-368. [5] Angela Xiao Wu, Yige Dong, “What is made-in-China feminism(s)? Gender discontent and class friction in post-socialist China”, Critical Asian Studies, 2019, p. 7. [6] Ibid., p 8. [7] http://www.womenofchina.cn/womenofchina/html1/projects/20041/6095-1.htm [8] http://www.womenofchina.cn/womenofchina/html1/projects/20041/6098-1.htm [9] Angela Xiao Wu, Yige Dong, “What is made-in-China feminism(s)? Gender discontent and class friction in post-socialist China”, Critical Asian Studies, 2019, p. 11.


BIBLIOGRAFIA

de Beauvoir, Simone, Il secondo sesso, Milano, Il Saggiatore, 2016 [1949].

Leung, Alicia S.M., “Feminism in Transition: Chinese Culture, Ideology and the Development of the Women’s Movement in China”, Asia Pacific Journal of Management, 20, 2003, pp. 359-374.

Weikun Cheng, “Going Public Through Education: Female Reformers and Girls' Schools in Late Qing Beijing”, Late Imperial China, 21:1, June 2000, pp 107-144.

Wu ,Angela Xiao, Dong, Yige, “What is made-in-China feminism(s)? Gender discontent and class friction in post-socialist China”, Critical Asian Studies, 2019, DOI: 10.1080/14672715.2019.1656538 .

 

CHI SONO:

Mi chiamo Cristina e ho 25 anni. Amo la letteratura, la Cina, i diritti umani e le patatine fritte. Ho studiato lingua e cultura cinese all'università, specializzandomi (non sono specialista in nulla, solo una perenne wannabe) in letteratura moderna e contemporanea. Ho fondato Gender China.

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