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Meng Yu - Lettera a mia figlia

Traduzione e introduzione di Federico Picerni.


Meng Yu è una lavoratrice domestica di Pechino, ma originaria del Gansu. Come altri 250 milioni circa di lavoratori e lavoratrici ha lasciato la campagna natia per spostarsi in città e trovare lavori più remunerativi. Questa sterminata manodopera, sottoposta a condizioni di lavoro estremamente precarie, non alimenta solo il tradizionale settore della produzione industriale, ma si ritrova anche in altri settori dell’economia urbana, come il delivery, e nel lavoro di cura, quest’ultimo ovviamente a netta prevalenza femminile e concentrato nelle abitazioni della nuova borghesia di città. L’ondata migratoria ha inoltre generato nuovi problemi sociali, fra cui quello dei “bambini lasciati indietro” (liushou ertong 留守儿童), cioè figlie e figli delle coppie migranti lasciati ai nonni in campagna, dove l’istruzione scolastica è scadente e dove è forte il peso della cultura tradizionale. Specialmente per le donne migranti, dunque, spostarsi in città genera una situazione contraddittoria: accanto alla riproduzione di vecchie e nuove forme di sfruttamento, dove spicca la mercificazione del corpo femminile (le migranti affollano anche il settore dell’intrattenimento e della prostituzione), per molte si presentano inedite occasioni di indipendenza economica e libertà di movimento. È il caso di Meng Yu, che trascorre il poco tempo libero a disposizione frequentando attività culturali e di mutuo soccorso pensate per le lavoratrici di cura.

Molti di questi temi si ritrovano nel testo che qui proponiamo in traduzione, su consenso dell’Autrice. Esso è tratto dal quinto volume di Xie muqin 写母亲 (Scrivere di madri), un progetto editoriale promosso da Jing Yuan nel luglio 2017, che si concentra sulla scrittura come motrice di idee e vite, mezzo per comprendere il reale e promuovere “l’azione responsabile”, strumento per scoprire alternative critiche sulla base delle narrazioni dal basso. Finora ha pubblicato cinque volumi, editi dalla casa editrice indipendente di Shanghai, 51 Personae. Il quinto volume è stato espressamente dedicato alle lavoratrici migranti. È importante sottolineare la dimensione cooperativa del laboratorio di scrittura, non solo per la condivisione degli scritti e delle idee, ma anche per il ruolo svolto da “tutor” (fudao laoshi 辅导老师) volontarie nello stimolare ulteriori riflessioni e percorsi di approfondimento sulla base delle bozze via via prodotte dalle autrici. Questa esperienza è descritta in un recente articolo di Jing Yuan, apparso su Sixth Tone.


 

Figlia mia, sollevando la penna voglio per prima cosa dirti: grazie! Grazie per aver scelto me, una persona così goffa e confusa, come tua madre, mentre eri ancora nel mondo delle nebbie! In verità, mentre ti scrivo questa lettera, una moltitudine di emozioni si sta aggrovigliando dentro me. Avrei dovuto scriverti prima.

Sei sempre stata una ragazza piena di carattere: dalle tante scelte che hai preso si vede che hai le idee molto più chiare di quanto non le avessi io alla tua età. Non volevi andare a scuola e preferivi fare la parrucchiera, quindi, senza dare troppo peso alla nostra contrarietà, hai insistito per andare a studiare acconciatura. Poi ti sei rifiutata di andare lavorare per altri e subire le angherie di un capo, perciò, senza aspettare le reprimende della nostra famiglia, hai messo insieme i soldi per aprire il tuo salone. Per questo ti ammiro tantissimo! Se non altro, puoi avere la tua attività e fare le cose che ti piace fare!

Il tuo carattere si rivela anche nelle opinioni che esprimi riguardo la mia situazione. In tutti questi anni, i tuoi occhi hanno visto uno dopo l’altro i patimenti che tua madre ha dovuto sopportare. Per esempio, quando tornavamo insieme dai campi dopo una giornata di lavoro, tuo padre si stravaccava sul divano a fumare e guardare la televisione, ma io dovevo correre in cucina a preparare da mangiare. Vedevi anche che, quando era di malumore, papà si lamentava del cibo, diceva che mancava di sale o di aceto, mi dava dell’incapace, oppure addirittura ribaltava il tavolo e alzava le mani su di me. Per gli altri del villaggio tutto questo era assolutamente normale. Tua nonna mi diceva addirittura che non sapevo “quanto stavo meglio” rispetto alle altre donne. Ma tu no: già da quando avevi poco più di dieci anni, ogni volta che mi vedevi maltrattata, andavi su tutte le furie e dicevi: se siamo tutti essere umani, perché gli uomini possono fare delle donne quello che gli pare? Cosa mi costringeva a subire la sua rabbia? E poi perché toccava a lui dettare il bello e il cattivo tempo quando dovevo accudire i vecchi, lavorare ai campi e curare i figli? Tutte le volte che mi vedevi rassegnata davanti a queste ingiustizie e violenze, che accompagnavo con il silenzio e le lacrime, ti arrabbiavi e dicevi che ero troppo debole: dicevi che, fosse stato per te, non avresti sopportato neanche un giorno, ti saresti alzata a protestare già da un pezzo!

È una lezione che hai assorbito a fondo, come si è visto in seguito: cercando un marito non hai prestato orecchio alle pianificazioni dei vecchi e hai insistito a volerti sposare con una persona in grado di capirti, tollerante, rispettosa nei tuoi confronti e con cui tu potessi vivere pacificamente. Ora ce l’hai fatta, hai trovato una persona che ami, e questo mi rende tanto felice per te.

Nonostante questo, ultimamente sono successe alcune cose che mi hanno un poco delusa, da parte di una che, come te, è sempre stata pronta a difendere le proprie idee. Per esempio, ci sono rimasta male a vedere tutta la tua fretta a voler diventare madre. Hai appena compiuto vent’anni, e volere a tutti i costi fare un figlio in un periodo così confuso, in cui non hai ancora tracciato i piani della tua vita… ecco, non riesco proprio ad accettarlo. Non stai scegliendo per te stessa proprio quel tipo di vita, la mia, di cui dicevi che non avresti sopportato nemmeno un giorno? Ovviamente non sarai insultata da tuo marito e non avrai il dito di tua suocera sempre puntato contro, come accadeva a me, sballottata di qua e di là per anni e anni come una marionetta, circondata da una famiglia che non mi ha fatto avere un minimo di calore e affetto: perché il tuo matrimonio è stata una tua scelta, e hai un marito che ti ama. Ma proprio mentre il tuo salone sta cominciando a decollare e il lavoro per cui provi tanta passione si sta mettendo sui binari giusti, com’è possibile che tu sia disposta a mandare tutto all’aria, così, all’improvviso, per diventare madre, come le altre intorno a te, che figliano subito dopo il matrimonio? Mi ricordo quando prendevi in giro la figlia dei vicini: poco più che ventenne, aveva dato ascolto ai suoi genitori e, per evitare dissapori con la famiglia del marito, era rimasta più volte incinta per avere un maschio, perdendo così tanto sangue che per poco non aveva lasciato questo mondo. Possibile che ti sia scordata tutto? Davvero pensi che sia glorioso assecondare i desideri di tua suocera dandole al più presto un nipotino da spupazzare? Vuoi veramente obbedire alle loro parole come fossero editti imperiali?

Un altro punto riguarda la tua reazione ai valori seguiti dai tuoi due fratelli. Quel giorno nella chat di gruppo hai scritto che sono “così grandi e non ancora sposati, ma che tristezza”. Queste parole, uscite dalla bocca di una ragazza poco più che ventenne come te, mi hanno davvero sconcertata. Già è criticabile non comprendere e non appoggiare le scelte dei tuoi fratelli, ma addirittura ti ritrovi ad avere una mentalità più vicina a quella della generazione di tua nonna che a quella dei tuoi coetanei! Incredibile! Sono tutte parole che troviamo spesso sulla bocca delle persone dell’età di tua nonna: “a ogni uomo adulto la sua sposa”, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, o “sposarsi presto e presto generare discendenti, per non perdere il senso di stare al mondo”. Sono proprio loro che mi sbraitano sempre contro: “Guarda, tutte le altre famiglie hanno già dei nipotini, i nostri ragazzi sono così grandi e non hanno nemmeno moglie, non oso farmi vedere in giro dalla vergogna! E tu hai ancora l’umore per ridere e cantare, che faccia tosta!”. Sono parole che detesto dal più profondo di me stessa: i miei figli sono in città a lavorare, non hanno mai fatto niente di male, di che dovrei vergognarmi? Ma nella nostra famiglia le vecchie valgono come il cielo, manco fossero l’imperatrice madre, mentre io, una nuora, non valgo nulla! Ma tu, tu come puoi essere del loro stesso avviso? Ho sempre pensato che tu, cresciuta in una società completamente nuova, circondata dalle cose più all’avanguardia, avessi idee sicuramente più fresche e ragionevoli di noi. E invece ti riveli ancora più “chiusa” di una come me, cresciuta nel feudalesimo, nell’arretratezza, al guinzaglio degli anziani, con la mente strozzata e fin troppo chiusa.

Oltre a questo, un’altra cosa che mi intristisce è la tua tendenza a fare confronti con gli altri. A sentir te, i tuoi due fratelli hanno speso un sacco di soldi per fare l’università e ora, sulla soglia dei trenta, non gli è rimasto nulla da investire nella ricerca di una persona da sposare; mentre i figli dei tuoi cugini no, anzi, loro, come tanti altri del villaggio non hanno fatto l’università, e possono permettersi di tutto: casa, auto, matrimonio. Quindi studiare tanto non serve a un fico secco? Hai ragione, i nostri parenti e i nostri compaesani dicono proprio queste cose, la maggioranza del villaggio è di questo avviso: i soldi sono l’unica cosa al mondo che possa far sentire una persona realizzata e soddisfatta, e a una certa età bisogna sposarsi e figliare. Ma le persone non hanno nessun’altra esigenza oltre ai soldi? Una ventenne come te ci ha riflettuto con attenzione? Vuoi passare la vita a metterti a confronto con gli altri? Vivere ciecamente alla maniera degli altri perché hai paura che ti giudichino o ti prendano in giro? È davvero questo ciò che vuoi dalla vita?

Ricordo come la prima volta che andasti in città a lavorare, appena mettesti da parte un po’ di soldi, mi comprasti una collana d’oro da alcune migliaia di kuai. Lo so, sei una ragazza con un grande cuore: vedendo che tutte le altre madri erano imbellettate d’oro e d’argento, volevi che la tua, di madre, non fosse da meno! Sono molto grata per questo animo filiale che hai mostrato sin dalla tenera età, ma penso anche che se ti avessi comprato più libri, quando eri ancora piccola, se avessi prestato più cura a farti riconoscere il valore di ciò che è legato alla conoscenza, probabilmente la prima cosa che avresti pensato di comprarmi, con un po’ di soldi da parte, sarebbe stato un buon libro, non gingilli senza alcun valore come piacciono tanto agli altri.

Sai, figlia mia, che ogni volta che sogno ti rivedo da bambina? Ad appena quattordici giorni riuscivi già a riconoscermi, ti bastava sentire la mia voce per smettere di piangere, e giravi la tua adorabile testolina in tutte le direzioni alla mia ricerca. Già prima di compiere sei anni eri una ragazzina obbediente, sveglia e attenta: sin da quando eri piccola ti bastava vedermi al lavoro per volermi dare una mano. Sei sempre andata all’asilo di tua spontanea volontà, senza piangere o fare storie. Poi tuo padre ha avuto l’incidente facendosi male alla gamba e abbiamo avuto anni senza raccolti; sotto queste ristrettezze economiche, io, madre snaturata, ti ho abbandonata, quando avevi sette anni appena, per unirmi alla maggioranza delle altre donne del villaggio nel fiume in piena che ci portava in città a cercare lavoro. La prima volta che tornai a casa vidi che eri cambiata: avevi imparato a dettare le tue condizioni per fare qualsiasi cosa, ti rifiutavi persino di andare a scuola senza prima discutere il compenso.

Sono io che non ho svolto a dovere il mio ruolo di madre. Quando avevi più bisogno di essere seguita ti ho abbandonata ai nonni, ho permesso che diventassi una bambina lasciata indietro, in campagna, dai suoi stessi genitori, non orfana ma comunque senza tua madre ad occuparsi di te, in balia delle idee e dei modi conservatori e retrogradi delle vecchie generazioni.

Detesto pensare a quanto sia stata stupida e ignorante a non avere insistito perché ti impegnassi a dovere nello studio! Allora eri nel tuo momento di ribellione giovanile e non volevi studiare. Nemmeno io so dove avessi la testa, ma mi ero convinta che non permetterti di piangere e creare problemi fosse davvero per il tuo bene. Ma a ripensarci adesso, ti ha fatto solo del male! Anche se non si può dire che tutti quelli che entrano all’università poi hanno tutto ciò che potrebbero desiderare, resto comunque dell’idea che studiare e imparare un po’ di più possa renderci più aperti di mente e rafforzare la nostra capacità di osservare e comprendere le cose. Perlomeno ti fa conoscere più verità, conoscere gruppi diversi, dare un senso a tanti fenomeni di questo mondo che altrimenti sarebbero difficili da valutare, capire che vivere una vita uguale agli altri non significa per forza avere una vita felice. Ho sempre creduto di esprimere il mio amore per te comprandoti bei vestiti e buone cose da mangiare con i soldi guadagnati in città. Ma adesso che faccio la governante e mi prendo cura dei figli degli altri, accudendoli, proteggendoli e crescendoli con la massima cura, da mattino a sera, solo ora mi rendo conto di quanto poco ti abbia educata e ti sia stata vicina. Troppo, troppo poco!

Se oggi posso dirti queste cose è solo grazie a quello che ho imparato pian piano, arrivata a cinquant’anni e dopo essere giunta a Pechino, dove ho conosciuto molti insegnanti, visto donne con stili di vita diversi, conosciuto persone che, pur non avendo soldi case auto e partner, continuano a mettere la ricerca spirituale e la riflessione al primo posto. Hai ragione tu: prima ingoiavo la rabbia e mi convincevo di non essere capace abbastanza, ed è stato questo ad attirare su di me tutte le angherie che ho subito in casa. Pensavo che se solo fossi stata più “obbediente”, se solo avessi “pagato un prezzo più grande” per il bene della famiglia, avremmo potuto avere un “quieto vivere” e tutto sarebbe andato per il meglio; credevo che la donna dovesse attenersi alla tradizione e sacrificare tutta se stessa per gli altri, che una volta sposata dovesse farsi carico di tutti i compiti della famiglia, trasformandosi in una macchina da riproduzione per garantire che non sarebbero mancati i discendenti a tenere acceso l’incenso per gli antenati! E dire che è proprio questa “educazione” a rovinare le donne! Quanti hanno spogliato le donne dei diritti che appartengono loro agitando la bandiera dell’“amore”? E quanti giovani, sottoposti ai piani dei vecchi, si costringono a tirare avanti in una vita grama in cui non fanno altro che mangiare e attendere la morte?

Avendo studiato più di te, i tuoi fratelli sanno quanto sia irresponsabile verso i genitori e verso le nuove generazioni fare matrimoni “riparatori” o “precoci” prima di avere concluso le proprie cose, o quando si è ancora immaturi e inesperti. Pur dovendo subire l’imbarazzo di ritrovarsi una folla di amici e parenti che li “spingono a sposarsi” ogni volta che tornano a casa, i tuoi fratelli per la maggior parte del tempo vivono in città, in spazi nuovi, fra nuove idee, e ormai tutto questo non li sconvolge più. Sì, se dico tutto questo è perché vorrei che da oggi in poi leggessi più libri utili, considerassi idee più aperte, e almeno acquisissi la capacità di distinguere il giusto dallo sbagliato. Non essere come tutte le altre ragazze del nostro villaggio, sempre con il cellulare in mano, su Tiktok o a giocare, che passano il tempo a mettere a confronto questa o quella, o a discutere su chi sia più importante in famiglia, e così buttano via i loro anni migliori.

Figlia mia, spero che nel percorso che ti attende resterai come sei, prenderai cura di te e dei tuoi figli mentre ti impegnerai a non ferire gli altri. Spero che percorrerai la strada futura maturando insieme ai tuoi figli, con loro esplorando scoprendo percependo questo mondo strano e confusionario, e che fronteggerete insieme tutto ciò che vi si presenterà nei giorni a venire. Vivi meglio di come abbia vissuto io: non chiedo altro!


La tua mamma

che ti ama


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