top of page
Gender China

Storia del Nüshu: la lingua delle donne che creò una “comunità di sentimenti”.

Di Barbara Di Silvio


“Essere una donna non serve a niente” (yi shi nvren zhen mei yong, 已是女人真沒用) è un verso tratto da un testo rintracciato nel 2000 presso il villaggio Baishui, nella provincia dell’Hunan. È stato scritto in Nüshu (女书), la “lingua femminile” coniata dalle donne Yao che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi anni, rinnovando l'interesse pubblico circa il modo di vivere e intendere il patriarcato nella Cina imperiale.


Sebbene l’esatta datazione del Nüshu rimanga controversa, la comunità accademica non nutre dubbi in merito alla sua origine spaziale. Le prime attestazioni del codice furono rintracciate nel 1982 a Jiangyong (江永), un remoto distretto situato nella parte meridionale dell’Hunan (湖南). In quell’anno, il ricercatore Gong Zhebing fu informato da un funzionario locale del Partito Comunista in merito all’esistenza di una lingua fino a quel momento sconosciuta al mondo, creata dalle donne di vecchia generazione per sopperire all’analfabetismo e dare voce alla propria dimensione interiore. In epoca imperale, Jiangyong era abitata prevalentemente da popolazioni di etnia Yao dedite all’agricoltura, e la struttura sociale della comunità era fortemente improntata all’androcentrismo e alla segregazione sessuale. Uomini e donne esercitavano il proprio ruolo in ambiti ben distinti, aderendo ad altrettanto diversi codici morali. Nella monografia Gendered Words: Sentiments and Expression in Changing Rural China, l’antropologa Liu Fei-Wen racconta di come, nelle gazzette storiche di Jiangyong, gli uomini venissero elogiati per il talento letterario o per i contributi politici e militari, mentre i nomi di “donne illustri” fossero associati a meriti di tutt’altro genere, tra cui la prontezza al suicidio volta a preservare la castità nei tentativi di stupro.[1]

Le attività svolte dalle donne nei propri “quartieri interni” (nei, 内) - ovvero tra le mura domestiche in cui erano relegate - erano prive di interesse per la storia locale, maggiormente interessata ai “quartieri esterni” (wai, 外) monopolizzati dagli uomini, che comprendevano la sfera sociale e lavorativa. I capifamiglia erano infatti considerati gli unici legittimi rappresentanti del nucleo nella società, e di fatto detenevano il pieno controllo sull’identità pubblica, economica e legale delle proprie mogli.


Come già anticipato, l’unica forma di istruzione ricevuta dalle donne di Jiangyong – e più in generale da ogni donna della Cina imperiale di estrazione medio-bassa – era l’educazione alle “tre obbedienze” (san cong, 三從) nei confronti di padri, figli e mariti, unitamente al rispetto delle “quattro virtù” (si de, 四德) confuciane; i precetti proponevano nel complesso la figura di una donna casta e arrendevole, nonché perfetta nei lavori manuali e nel ricamo.

Attraverso le numerose occasioni di aggregazione offerte dalla tessitura, dal ricamo e dalla cucina – attività che venivano praticate durante la quotidiana assenza dei mariti – le donne di Jiangyong coniarono il Nüshu sulla base del dialetto locale, utilizzandolo per condividere desideri, frustrazioni e aspirazioni personali.[2] Nei loro incontri, amiche, vicine di casa e conoscenti facevano voto di sorellanza, impegnandosi a sostenersi nelle reciproche fortune e disgrazie.[3] I caratteri del nuovo codice uscirono gradualmente dai “quartieri interni” per imprimersi sugli abiti, le trapunte e i ventagli dell’intero distretto, fallendo tuttavia nel compito di suscitare il rispetto e la comprensione degli uomini.[4]


A questo proposito, è importante ribadire che, nonostante sia stato presentato negli anni come un’arma di empowerment e di resistenza femminile, il Nüshu non garantì alle donne una maggiore assertività nella società, ma forgiò piuttosto una “comunità di sentimenti” che ebbe soprattutto il merito di ampliare la loro visione del mondo, spingendole ad una riflessione critica e condivisa circa il loro status di subordinazione nella società.[5]

Nei versi e nelle lettere prodotte in Nüshu, le donne esploravano infatti con dolore la dimensione fisica e psicologica della femminilità, affrontando temi come il ciclo mestruale e la maternità, le diverse reazioni psicologiche al patriarcato e i tentativi (quasi sempre fallimentari) di autoaffermazione nella società. Le protagoniste degli scritti lavorano sodo e soffrono in silenzio, sognano di rinascere in vesti maschili e ammoniscono le proprie figlie, suggerendogli a malincuore di adempiere diligentemente ai precetti del canone confuciano.


Dopo il Movimento del quattro maggio (1919), la progressiva estensione del diritto femminile all’istruzione portò ad un conseguente deterioramento nell’uso del Nüshu, culminato con la definitiva messa al bando nel decennio della Rivoluzione Culturale (1966-1976). La “lingua delle streghe” – come fu definita in quegli anni – costituiva infatti una pericolosa espressione della vecchia società feudale, e il timore di subire persecuzioni o ritorsioni da parte del regime maoista ne scoraggiò qualsiasi successivo utilizzo.[6]


Nel 2004, la scomparsa dell’ultima locutrice della “lingua delle donne”, la centenaria Yang Huanyi, sancì la sistematica opera di riscoperta e tutela del codice. Nel 2006, il governo inserì il “fenomeno culturale” Nüshu nel Patrimonio culturale immateriale nazionale, garantendo alle donne Yao il posto che faticosamente avevano tentato di conquistarsi nella storia.[7]



 

NOTE

[1] Liu Fei-Wen, Gendered Words: Sentiments and Expression in Changing Rural China, 2015, OUP, p. 215 [2] Christie K. K. Leung, “Women Who Found A Way Creating a Women's Language”, in Off Our Backs – a women’s newsjournal, vol.33, no. 11, 2013, p. 41. [3] Ibid. [4] Liu Fen-Wei, “From Being to Becoming: Nüshu and Sentiments in a Chinese Rural Community”, in American Ethnologist, vol.31., no.3, 2004, p. 423. [5] Liu Fei-Wen, Gendered Words: Sentiments and Expression in Changing Rural China, 2015, OUP, pp.1-2. [6] Liu Fen-Wei, “From Being to Becoming: Nüshu and Sentiments in a Chinese Rural Community”, in American Ethnologist, vol.31., no.3, 2004, p.424. [7] Chen Xiaorong, “Nüshu: from tears to sunshine”, UNESCO, 2018, https://en.unesco.org/courier/2018-1/nushu-tears-sunshine.


BIBLIOGRAFIA

Chen Xiaorong, “Nüshu: from tears to sunshine”, UNESCO, 2018, https://en.unesco.org/courier/2018-1/nushu-tears-sunshine.

Christie K. K. Leung, “Women Who Found A Way Creating a Women's Language”, in Off Our Backs – a women’s newsjournal, vol.33, no. 11, 2013, pp.

Liu Fen-Wei, “From Being to Becoming: Nüshu and Sentiments in a Chinese Rural Community”, in American Ethnologist, vol.31., no.3, 2004, pp 422-439.

Liu Fei-Wen, Gendered Words: Sentiments and Expression in Changing Rural China, 2015, OUP, p. 215.

79 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page